mercoledì 29 aprile 2009

Si crede De André, ma è solo Morgan

Sembra già eccessivo dedicare tanto tempo ad un personaggio del tutto mediocre. Ma la TV ha il potere di amplificare i nani e di spiaccicare i giganti. Musicista dotato, compositore mediocre.
La musica dei Bluvertigo può anche piacere, ma certo non sembra proprio musica capace di assurgere "l'uomo" al rango di Genio. Che abbia una gran cultura si sa, d'altronde non fa altro che inondare l'ascoltatore con perle di saggezza provenienti dalle più svariate branche dell'umano scibile. Naturalmente anche quando incorre in inesattezze o sfrondoni è inutile farlo notare. Gli italiani hanno sempre bisogno del loro "duce" che ha sempre ragione, poco importa si chiami Morgan o Berlusconi.
E' il classico radical chic con il cuore a sinistra e il portafoglio a destra. Critica la televisione che non fa programmi abbastanza "culturali" e poi è nella giuria di un programma di musicale mediocre. Basti pensare che "A te" di Jovanotti è stata definita la più bella canzone d'amore degli ultimi tempi mentre la giuria annuiva soddisfatta. (In realtà un'accozzaglia di accordi e parole melense che Checco Zalone ha demolito con un intelligente piglio anti-intellettuale). Critica la società che bada "solo ai soldi" e poi se ne va in giro con delle proto-veline.
Si crede De André invece è solo Morgan. De André, infatti, sebbene rappresenti forse l'impersonificazione di uno dei tarli culturali del nostro paese, viveva le sue canzoni.
Era quello che cantava.
Morgan è un ragazzo senza dubbio intelligente, non lo si può negare, ma negli ultimi anni sembra aver completamente perso il senso del reale. Solitamente quando uno cresce abbandona le pose e lascia spazio alla sostanza anziché alla forma. Morgan ha fatto esattamente il contrario. Più che dotato di sex-appeal, potremo dire che è dotato di ex-appeal. Nell'immaginario collettivo femminile rappresenta l'alternativa al calciatore che si fidanza con la velina, capace di leggere libri e poi vomitarli addosso all'ascoltatore, che, invece di pulirsi la faccia accoglie il vomito con gaudio. Alternativa che in fondo è l'altra faccia della medaglia dello spettacolo: molta pubblicità, poca arte.

venerdì 24 aprile 2009

Montanelli e la carenza di liberalismo

A cent'anni dalla nascita di Indro Montanelli (Fucecchio 22 aprile 1909, Milano 22 luglio 2001) varie trasmissioni televisive e giornali hanno dedicato dei momenti al grande giornalista scomparso ormai quasi 8 anni fa, ma che ancora continua a far parlare di sé. Anno Zero, il programma televisivo di Michele Santoro, gli ha dedicato un'attenzione particolare lasciando la parola a molti giornalisti che hanno avuto la fortuna di lavorare con lui o di rubargli il posto al Giornale. A parte alcune inesattezze da parte di Gad Lerner e di falsificazioni ad opera di Belpietro¹ , ci si dovrebbe concentrare su uno degli aspetti in assoluto più trascurati nella storia montanelliana.

Nella trasmissione, e in generale dappertutto, sembra ormai d'obbligo separare i "due Montanelli", quello pre-Berlusconi, e quello post-Berlusconi. Le forze non-berlusconiane, di cui fa parte un pezzo della ex-Sinistra dimentica il primo o parla di "pentimento", mentre le forze berlusconiane, non potendo nascondere, lo considerano un disturbato che da giovane predicava bene e poi, quando si materializzò una Destra moderna e democratica, impazzì. Ognuno, formalmente, tenta di tirare il cadavere di un giornalista dalla propria parte politica, in un'operazione che Montanelli avrebbe chiamato "il mercato dei morti".

Montanelli divise e continua a dividere appunto per questo. Un anticomunista dichiarato e feroce, sebbene molto corretto e tollerante verso chi non la pensava come lui e con uno modo tutto "anarchico" e anticonformista di stare dall'altra parte del Muro di Berlino, litiga con il suo editore e non vuole supportare la sua battaglia "anticomunista", contro un comunismo che nel 1994 non esisteva più²

Montanelli ha sempre rivendicato la sua appartenenza ideale al liberalismo conservatore di stampo europeo. Molti italiani non sono in grado di capacitarsi però della differenza tra appartenenza ideale e appartenenza politica. La prima non implica per forza la seconda, specie se si pensa che quella forza politica che si appiccica un nome addosso, con quelle tradizioni non abbia nulla a che fare.

Con gli occhi e le orecchie spurgate dall'ideologia, si capisce invece che Berlusconi e la sua banda, con la tradizione liberale e conservatrice non abbiano nulla a che fare. Montanelli, Giovanni Sartori, Peter Gomez e Marco Travaglio, Beppe Severgnini, provengono tutti dalla stessa scuola di pensiero, piuttosto liberista in termini economici, liberale in termini di libertà di pensiero e di interpretazioni storiche, occidentalista nella politica estera, e piuttosto conservatrici nel campo della Legge e dell'Ordine Pubblico. Possiamo in quest'ambito prendere come riferimento l'ex Procuratore di Torino Marcello Maddalena, che collaborò anche alla Voce montanelliana.

La vicenda di Montanelli può essere presa però a pretesto per discutere un problema ben più grande: la mancanza di cultura liberale nell'informazione, così ben radicata in Occidente, specialmente nei paesi anglosassoni. Mentre Montanelli spegne, dall'alto, le sue cento candeline, probabilmente osserva il profondo provincialismo del popolo italiano, che ignora ancora, dopo tanto tempo, di far parte dell'Occidente, e dell'Europa. Ma questa è un'altra storia.

¹A proposito dell'anticomunismo di Berlusconi possiamo ricordare che egli, un anno prima della caduta del Muro, sebbene editore del Giornale, firmava un patto tra l'Unione Sovietica e la Fininvest, ottenuto forse grazie all'aiuto di alcuni amici del PCI. Senza considerare l'attuale amicizia con Putin, Gheddafi, le manovre economiche, l'idea di libera stampa tipo Pravda, ecc.

²Belpietro durante la trasmissione ha fatto bene a ricordare Montanelli che se la prendeva con l'invadenza della magistratura e invitava a cambiare la Costituzione. Ma naturalmente non c'è stato tempo per approfondire il dibattito perché bisognerebbe leggere cosa scriveva Montanelli a proposito delle iniziative di creare una repubblica semipresidenziale: In Francia solo De Gaulle era tagliato per un posto del genere, e in Italia abbiamo solo il comunista e il democristiano e con questi dobbiamo fare i conti. Inoltre, sull'invadenza della magistratura Montanelli si pronunciava soprattutto ai tempi della "giurisprudenza alternativa" di MD, quando la corrente delle toghe si proponeva in pratica di forzare la legge e la legislazione per la Causa comunista, non certo quando Mani Pulite tentò, senza riuscirci, di ripulire l'Italia dalla corruzione.

giovedì 16 aprile 2009

Il soliloquio di Dio

Il Vaticano non vuole che Caroline Kennedy, figlia di JFK, diventi ambasciatore USA presso la "Santa" Sede. Benchè avvocato, di famiglia cattolica - l'unica che ha comandato l'America - e scrittrice, Caroline è troppo liberal, favorevole alla libera scelta in tema di staminali, aborto, eutanasia. Dunque "non è la persona adatta per dialogare con la Chiesa sulle questioni eticamente sensibili".

Ma se si rifiuta il dialogo con chi la pensa diversamente, con chi si dovrebbe dialogare? Cristo accennò a una risposta, quando disse che "il sano non ha bisogno del medico, ma il malato sì". Risposta poco fattibile. Meglio pensare al dialogo con un omologo americano del referente italiano della "Santa" Sede, Gaetano Quagliariello. Un luminare della scienza etica applicata alla politica, un consumato radicale che sa vendersi al nemico, dando dell'assassino a Beppino Englaro dopo aver combattuto per anni per lo stesso diritto che Englaro è riuscito a far affermare. Col vecchio Quaglia sì che bisogna dialogare.

E con chi, sennò? Con una donna-intelligente-erudita-libera-pacifista? Non scherziamo, la Chiesa adora i maschi da riporto.

venerdì 10 aprile 2009

Ma sono gli elettori ad essere schiavi dei partiti

In questi giorni di terremoto, dove i partiti hanno fatto a gara per accaparrarsi un po' di voti, la televisione un po' di ascolti e gli sciacalli un po' di "formaggio", sulla pelle dei morti, un grande evento politico che ha lasciato un morto per la strada ci ha lasciato completamente indifferenti. Forse perché atteso. E' la morte di Alleanza Nazionale, che si è fusa ufficialmente con il sedicente Popolo delle Libertà. Alla favolosa festa è stato proiettato un mosaico divertente e scombiccherato dove campeggiava anche Giorgio Almirante, che fu segretario dell'MSI. Dall'esperienza che nasceva dai dieci punti di Verona e si rifaceva alle parole di Mussolini sul "socialismo nazionale che non è nazionalsocialismo" , l'MSI di strada ne ha fatta molta. Fino ad anni recenti è rimasto la bestia nera: i suoi voti erano conteggiati ma nella pratica non contavano perché "anticostituzionali". Una patacca che poteva esistere solo in Italia, ma che consentiva alle Sinistre di disperdere i voti che non andavano a loro. Poi, dopo la svolta di Fiuggi che vide protagonisti il colto professor Domenico Fisichella e un rampante Gianfranco Fini, l'MSI venne sdoganato da Silvio Berlusconi. Durante tutta questa strada fatta di curve, l'MSI ha perso qualche pezzo fino a fondersi con Forza Italia. La sua morte era già annunciata da un pezzo: in cinque anni di governo non si erano sentiti che flebili vocine contrarie alla politica berlusconiana e tutte provienti al massimo da UDC e Lega, fino all'imbarazzante spettacolo dei rappresentati di AN che votavano la Devolution leghista sventolanto grottesche bandierine italiane alla Camera.
Ma gli elettori non sembrano essersi accorti di tutto questo, come non sembrano essersi accorti della stessa evoluzione della Sinistra: Berlinguer non scalava le banche, ma se ne andava dismesso fra gli appalusi dei cortigiani, che egli disprezzava profondamente. E oggi qualcuno lo appaia a D'Alema, con sprezzo del ridicolo.
Gli elettori non sembrano essersi neanche accorti di come possano convivere degli elementi che provengono dal PSI di Craxi e l'MSI di Almirante, che questi ultimi accusavano di ladronerie con un linguaggio che oggi definirebbero minimo minimo "comunista", tanto per abusare un po' di questo termine ormai privo di significato.
Gli elettori non si sono neanche resi conto di come sia stato possibile far alleare con Berlusconi la Lega, che dieci anni fa usava un linguaggio talmente esagerato persino per gli antiberlusconiani militanti, e sosteneva, insieme all'MSI, le Procure di Mani Pulite.
D'altronde anche l'Italia dei Valori soffre di un certo equivoco da parte degli elettori. Fondata da un ex poliziotto (commissario di P.S.) ed ex magistrato che viene da una famiglia modesta e ha il figlio anch'esso in Polizia, oggi sembra peccare di "comunismo", come ogni cosa che non si piega all'adorazione senza riserve di Berlusconi.

L'elettore medio forse si accontenterà di una banale spiegazione: il potere corrompe tutti. Parzialmente vero. Ma è anche vera un'altra sconcertante verità: In italia sono i partiti che impongono la linea ai propri elettori, non gli elettori che, in base ad una serie di bisogni, di convinzioni, di aspirazioni, controllano e indirizzano i loro rappresentanti. Tutto il contrario di quello che succede nel resto del mondo democratico, e che mette in risalto la nostra spiccata tendenza al servilismo.
Fanno eccezione forse la Lega Nord e l'Italia dei Valori, partiti più radicati nel territorio.
La perdita della preferenza nel voto nazionale non è duque che l'effetto del comportamento dell'elettorato, cioè dei cittadini. Ma ci vorranno altri cinquecento anni di Unità per rendercene conto, e forse allora, tra secessionismo e terremoti non saremo più neanche l'Italia di una volta.

Tanti anni fa una persona usava queste parole nei confronti della partitocrazia: "Fuori dalla vera legittimità costituzionale si pongono quei partiti che rifiutano di attivare gli articoli sociali della Costituzione, che interpretano in maniera distorta l’articolo 49 e dal pluralismo fanno nascere il mostro che si chiama partitocrazia. Penso e affermo che fuori della Costituzione siano quei partiti che lottizzano in termini di potere e quindi di arbitrio la libertà di informazione attraverso il mezzo radio-televisivo".
Un comunista in vena della solita polemica? Un dipietrista antipatico che ci annoia con i soliti sermoni? Un massimalista della sinistra radicale (termine che tanto piace al TG1)?
No, era Giorgio Almirante, intervistato tanti anni fa.