martedì 22 settembre 2009

Maccaroni Sentimental Movie

Gli ultimi giorni sono stati una manna per i nostri politici e buona parte del popolo italiano. Piagnistei, bambini, grandi parole, squilli di tromba, il tutto sulla pelle di sei morti. Le occasioni per la retorica strumentale, si sa, sono come il porco: non si butta via niente.
E la cosa più confortante è stato il ricordo di quando i nostri parlamentari vennero intervistati da "Le Iene" e si lanciarono in sfrondoni da seconda elementare.
Ecco, tieniamo a mente che costoro sono quelli che voteranno il rifinanziamento dell'azione in Afghanistan, senza neanche sapere dove sta e come si pronuncia.

Mentre una parte degli Italiani si affannava a definire Eroi sei poveri ragazzi che sono saltati in aria senza aver tempo di compiere un gesto, dimostrando grave spregio per il lessico (gli Eroi fanno gesta straordinarie, non il proprio dovere), l'altra parte non poteva certa dimenticare di essere italiana.
Il melodramma, nel Belpaese, è una costante. Chi di voi non ha in mente, oltre la pizza, i funerali "alla napoletana" dove la vedova vestita di nero si getta addosso alla bara parlando un linguaggio irriconoscibile?

E allora via al fiorire di gruppi conditi dalle più allegre stupidaggini: "Le vere missioni di pace non sono fatte da Soldati (...) le armi più potenti che portano con loro sono un antibiotico e il sorriso".
La missione in Afghanistan è' una guerra di occupazione vera e propria, tra l'altro privata delle ragioni fondamentali per cui era iniziata., ma gli Eserciti non compiono solo guerre, ma missioni classificate diversamente a seconda degli obbiettivi. Nel gergo ONU ci sono missioni come il "peacekeeping", che ad esempio porta i caschi blu in Libano. Senza gli Eserciti sarebbe difficile e talvolta impossibile portare aiuti in paesi dove ci sono insurrezione e guerre tribali.
Come si separano due che si picchiano? Con un sorriso e un antibiotico? Il problema è poi se valga la pena o no separarli, ma questo è un altro discorso.

Un altro gruppo recita: "I veri eroi sono i caduti sul lavoro italiani e non , i magistrati che lottano contro la mafia , i volontari delle onlus (...) Io ho fondato un gruppo contro un parà morto e sono stato minacciato di morte e di essere pestato per questo da militari,fascisti e poliziotti . "
A parte la solita tiritera noiosa e impertinente con l'uso della parola "eroe", che fa vomitare anche quelli che hanno lo stomaco più peloso, e saltando la retorica dei caduti sul lavoro, che più che eroi sono vittime, quella dei Magistrati è la più divertente.
Magistrati coraggiosi e preparati ne abbiamo a iosa, e lo dimostra il continuo svillaneggiarli del nostro Presidente del Consiglio che, come ben noto, ha qualche problemino ad accettare il fatto che il codice penale non sia un catalogo scelte.
Ma la successiva assimilazione di militari, fascisti e poliziotti è grottesca.
Con chi viene combattuta giornalmente la Mafia dalle Procure? Chi li fa i verbali, chi fa gli arresti, i fermi, le indagini insieme alla Procura? La Polizia Giudiziaria, non Nonna Papera che convince i mafiosi con i biscotti appena caldi.

Ognuno, abbiamo capito, ha i suoi eroi, di cui non può fare a meno, come un bebè del proprio giocattolo. A dimostrazione del fatto che come Nazione non siamo mai cresciuti troppo.

giovedì 10 settembre 2009

Presidente senz'anima

Dispiace molto parlare nei termini di seguito circa il nostro Presidente della Repubblica, ma quel dono che ci viene dalla Resistenza chiamato libertà mi esonera da ogni scrupolo reverenziale. Mi permette, insomma, di pensare che siamo in presenza del peggior presidente della Repubblica da quando ho memoria (diciamo dall’ultimo Cossiga in poi). Egli rappresenta l’Italia, è vero, ma in una maniera assolutamente indegna, se è vero come è vero che nulla, del suo operato, sta andando in senso per così dire costituzionale. Sembra, al contrario, un pavido sostenitore della Pax istituzionale che ingoia ogni tipo di rospo pur di non turbare il manovratore. Chissà per quale recondito motivo, poi. Siamo in presenza, ormai da quindici anni, di una progressiva demolizione dell’apparato statale, inteso non in senso burocratico-amministrativo, piuttosto in senso giuridico-politico. Secoli di evoluzione dottrinale e filosofica, una guerra civile e qualche milione di morti ammazzati non bastano a Napolitano per metterci la faccia e chiudere, finalmente, la sua stagione del “dialogo” per aprire quella di una nuova Resistenza. Resistenza contro un nemico subdolo, delinquenziale, culturalmente mediocre e umanamente ripugnante.

Le “ultime” uscite del presidente hanno lasciato un gusto amarissimo in bocca. Da quel vile e maligno attacco al GIP Forleo che osò rispettare una legge scritta dai parlamentari per ottenere il permesso soltanto di indagare su cinque di loro, passando per la pilatesca indifferenza nei confronti del boicottaggio del CSM, di cui lui è presidente, a danno della procura di Salerno che aveva assolto, secundum legem, il PM De Magistris cui i suoi superiori di Catanzaro e il cosiddetto ministro Mastella avevano tolto i fascicoli dalla scrivania per poi cacciarlo illegittimamente. Passando per un’incomprensibile assenza di posizione sulla cena fra due membri della Consulta e il premier, oggetto nemmeno indiretto del Lodo Alfano la cui costituzionalità sarà valutata anche da quei giudici – con quale franchezza di giudizio, solo Napolitano lo sa. Passando ancora per il mancato rinvio alle camere di quel criminogeno decreto-sicurezza che andava abbattuto senza pietà e non spettinato col buffetto della letterina di fine anno al maestro, per finire con le ultime, vomitevoli uscite sulla percepibile – solo dal presidente - fiducia dei terremotati verso le istituzioni e la retorica, tediosa e vuota omelia indirizzata a quello stesso CSM in merito all’excusatio non petita del sempiterno premier riguardo le nuove indagini delle procure di Milano e, soprattutto, Palermo. Che poi, bugiardo o drogato qual è, ha confuso con quelle di Firenze e Caltanissetta.

Una serie destinata a impinguarsi sempre più intensamente per terminare, di grazia, nel lontano, lontanissimo 2013. Non me ne voglia, il presidente, ma lo credevo uomo determinato nella difesa di valori di cui si è sempre professato baluardo. I costituzionalisti più eminenti del paese insegnano che il dover essere “super partes” non equivale, non può equivalere a “silenzio”. Non può significare difesa del più forte che tutto può, perfino assolversi da solo per prescrizione. Non può voler dire accettazione supina del destino cinico che ci ha condannato a un governo di arroganti, ignoranti imbroglioni. La Carta di cui lui è garante, costata al nostro sconcertante popolo un agghiacciante bagno di sangue, afferma con forza la sua stessa intangibilità e la sua supremazia financo su di un miliardario, mi si perdoni il gioco, da quattro soldi.

mercoledì 9 settembre 2009

Tempi Moderni

Mentre il sempre più coraggioso e indipendente Vittorio Feltri sposta il mirino sul bersaglio numero due, tale Gianfranco Fini presidente della Camera, il PD adombra risvolti squadristi sul nostro paese per la seconda volta in meno di un secolo.

La matrice fascista, espressione ripetutamente evocata nei fottutissimi anni sessanta, settanta e ottanta tricolori anche quando un gatto si frangeva un artiglio, dell’ardito bis che l’ex Indipendente, ora Del-tutto-indipendente Vittorio ci ha regalato definendo Fini un “compagno…ridicolo”, secondo i Piddini sarebbe sottesa allo spartito da olio di ricino che la macchina da guerra berlusconiana sta suonando ormai da molti mesi, più o meno da quando si è reinsediata in Piazza Colonna.

Sei un giornalista? Continua a scrivere quel che ti pare, ma la nota informativa della polizia sulle tue abitudini sessuali…Sei laico? Fai quel che ti pare, ma non in Italia. Vuoi fare il PM senza pressioni? Fallo pure, ma attento a ciò che tocchi. Vuoi andare a puttane? Beh, questo si potrebbe pure fare, ma non per strada sennò ti faccio arrestare – sai com’è, la Carfagna sul punto non transige, odia le battone d’asfalto. Vieni a Palazzo Grazioli – lì, magari, la Carfagna in persona ti spiegherà ciò che pensa, absit iniuria verbis.

Che queste oscenità escano fuori oggi, a democrazia acquisita, dà di che pensare. Non vorremmo trovarci, fra qualche anno, nella paradossale condizione di dover riscrivere la Costituzione in senso fascista per difenderla dalla dittatura della maggioranza. Sarebbe seccante dover ammettere, per esempio, che non esiste più il diritto di espressione del pensiero perché c’è qualche Feltri di troppo in giro che calunnia la gente. Alla stregua di quei cartelli appesi alle spalle dei salumieri: “Per colpa di qualcuno non si fa più credito a nessuno”.

Non vogliamo che si torni fascisti, se non altro per il rischio di venire additati come comunisti. Ma allora, chi la difende, questa benedetta Costituzione? O meglio, chi gode ancora di un briciolo di credibilità tale da non risultare “ridicolo” (V. Feltri, cit., pag. 1 “Il Giornale”, 2009)?

Il PD non è credibile nemmeno quando va al bagno a cambiare segretario. L’attuale è il vice di quello che non voleva nominare Berlusconi perché l’avversario non va demonizzato. Il futuro, già all’opera come ministro dello sviluppo economico dal 2006 al gennaio 2008, cedette a ogni lobby immaginabile, perfino a quella dei tassisti, e delle sue fantomatiche liberalizzazioni è rimasto poco più dell’abolizione dei due euro di sovrattassa sulle ricariche telefoniche. E poi è sponsorizzato dal Berlusconi coi baffi. Marino, beh, Marino…Lo faranno fuori a colpi di Binetti, di cilicio e di cardinale Barragan, non ci speriamo nemmeno un attimo. Saremmo ridicoli noi.

Le istituzioni, dirà qualcuno, ma chi? Il presidente del Senato Schifani è il nomen omen per eccellenza, chi agogna un suo intervento è uno psicolabile. Quello della Repubblica auspica ogni tre ore che le forze politiche si diano una regolata; che si torni a respirare la Pax istituzionale. Che prevalga il dialogo e che si abbassino i toni. Che la Resistenza è un valore da tramandare e che la lotta al nazismo fu giusta, anche se ieri 8 settembre, a differenza di ciò che ha affermato Napolitano, non si ricordava alcuna vittoria né alcun eroismo, ma il tradimento di un predecessore di Napolitano e del suo badoglio nei confronti di alcune migliaia di inermi ventenni fatti soldati e lasciati crepare sotto le sventagliate di mitra di quelli che credevano alleati. A Napolitano, della Costituzione interessa ben poco se è vero come è vero che permette, senza colpo ferire, che venga coperta di sterco ogni giorno che Dio ci dona. E guai a rimandare una legge alle camere. La cestinatura del Decreto Legge “Anti-Englaro” basta e avanza per i fan di Ponzio Pilato.

Rimane Fini. O meglio, rimarrebbe, perché al di là delle frasi da cerimonia che ne sottolineano la maturazione a vero uomo di stato dopo i ruggenti anni di piombo, qualcosa di non proprio limpido, in lui, rimane. Ci sarebbe da chiedergli, per esempio, come mai abbia avallato sì scelleratamente quell’infinita serie di leggi-vomito proposte da Prescrittolo, puntellate dal “Ghedini o dal Ghedoni di turno” (M. Gasparri, cit., “Breviario Comico”, 2009) e deliberate da Forza Italia, UDC, Lega e AN compatte come non mai durante la più lunga ed emozionante epopea di un governo nazionale, la Legislatura 2001-2006.

Ci sarebbe da ricordare a Fini che, in pieno governo Prodi II – 10 dicembre 2007 - , così parlò di Prescrittolo: «...Almeno per me, non esiste alcuna possibilità che Alleanza nazionale si sciolga e confluisca nel nuovo partito di Berlusconi, del quale non si capiscono valori, programmi, classe dirigente. Non ci interessa la prospettiva di entrare in un indistinto partito delle libertà…Lui che adesso accetta di discutere sulla legge elettorale, ci ha risposto senza rispetto e quasi sfidando il ridicolo ci ha detto 'ho fondato il Pdl, scioglietevi, bussate, venite e vi sarà aperto...' comportarsi in questo modo non ha a che fare con il teatrino della politica, significa essere alle comiche finali».

Puntuale come uno swatch, Fini si rialleò con Presrittolo dopo il lavoro sporco del non più compianto senatore Mastella, per poi concludere il suo zigzagare sul più alto scranno di Montecitorio da dove ora, gli va riconosciuto, tenta di salvare il salvabile. Come storia comanda, da amico – anche di Feltri che auspicava lui a Palazzo Chigi e il padrone al Quirinale – Fini si è trasformato in uno dei più pericolosi sovversivi del potere. Solidarietà al Fini di oggi, dunque, colpito a tradimento anche dai suoi colonnelli (benchè parlare di Gasparri come di un colonnello potrebbe integrare il reato di oltraggio all’intero Esercito Italiano).

Ma chi di spada ferisce…Che dire, per esempio, della risposta di Fini a Di Pietro il 14 maggio 2008, mentre l’ex PM, durante il dibattito sulla fiducia al nuovo governo, veniva interrotto a ripetizione e reclamava il diritto di parlare? Quella dichiarazione, “…è naturale (che la interrompano), e poi dipende da ciò che si dice” fece tornare in mente Alfredo Rocco buon’anima che ammoniva un di lì a poco assassinato Giacomo Matteotti nel lontano 1924: “Se Ella vuole parlare, continui, ma prudentemente”. E che dire dei suoi attacchi ad Annozero, definito più volte “indecente” sol perché, invece di abbracciare un peluche che gli ricordava l’infanzia, l’inviato di Santoro cercava di capire e far capire ai telespettatori come mai, a fronte di una magnitudo simile al terremoto che colpì Marche e Umbria nel 1997, dodici anni dopo in Abruzzo non siano morte quindici, ma trecento persone?

Fini, insomma, ne avrebbe di cose da spiegare, così come il PD che ammonisce sul rischio di un ritorno al futuro squadrista non risulterebbe credibile a un rinoceronte ubriaco. Effettivamente, però, quel rischio non è solo pane per i retori della sinistra. Il rischio esiste in concreto perché oggi, come ampiamente dimostrato dai casi De Magistris, Forleo, Santoro, Biagi, Luttazzi, Boffo e molti altri meno famosi, un Amerigo Dumini e la sua squadraccia di picchiatori non servono più. Il metodo è quello classico, come per i migliori produttori di champagne: faccio finta di tollerare, e subdolamente ti distruggo l’esistenza. Solo l’arma è diversa: non più rudimentale come un manganello, ma spietatamente moderna.

E poi si dice che siamo un paese arretrato.