martedì 27 gennaio 2009

Stupro di Carnevale

Davide Franceschini, il panettiere ventidueenne che stuprò una sua coetanea a Capodanno ha confessato. Ma le decisioni del Tribunale di Roma che hanno seguito la confessione hanno scatenato il sindaco Alemanno e il ministro della Giustizia Alfano, che ha sguinzagliato gli ispettori.

Il Pubblico Ministero V.Barba ha chiesto ed ottenuto dal giudice Marina Finiti gli arresti domiciliari. Apriti cielo! Arresti domiciliari per uno stupratore?

Il Sindaco Alemanno ha detto: "Comprendiamo le motivazioni che hanno portato a questa scelta, vista la collaborazione e il ravvedimento manifestato da questo giovane. Tuttavia non si può far uscire dal carcere dopo solo 48 ore una persona che comunque ha commesso un reato così odioso e di così grave allarme sociale. Anche la vittima dell'aggressione mi ha chiamato al telefono per testimoniare la sua delusione per questa incredibile indulgenza. Questa ragazza si è sentita abbandonata dalle istituzioni dopo che gli inquirenti erano riusciti ad assicurare alla giustizia il suo aggressore. Per questo chiedo alla magistratura di revocare gli arresti domiciliari all'accusato, di andare verso un processo rapido che accerti definitivamente le responsabilità e di garantire in questo modo certezza della pena".

Ad una prima lettura, presi dalla foga del momento, si è forse portati a condividere. In realtà la cosa è più sbagliata di quanto sembra: Innanzittuo se si comprendono le motivazioni della scelta allora perché la si critica? La legge, scritta dal Parlamento, purtroppo questo prevede, ed è sconcertante che il primo cittadino della Capitale, invece di esortare il il suo partito che ha una maggioranza oceanica in Parlamento a cambiare la legge in questione, chieda alla magistratura di non applicarla.
Anzi, è anche probabile che la norma applicata sia troppo severa (in un senso esclusivamente
applicativo) in quanto il delinquente è incensurato (il capo della Polizia Rizzi: "E' un ragazzo di buona famiglia, non certo un criminale abituale)", l'inquinamento probatorio non sussiste, il pericolo di fuga neanche, e la reiterazione del reato è assolutamente improbabile. Si, perché sono questi i tre criteri per poter mettere in custodia cautelare una persona.
Il ragazzo, intendiamoci, ha già applicata una misura cautelare, solamente che è in casa, aspettando l'imminente processo, che potrebbe essere più veloce del solito, questa volta,
perché il delinquente è un reo confesso.

La vittima, in un'intervista a Studio Aperto ha invece annunciato: "Se non fanno giustizia come si deve io giustizia me la faccio da sola. Al giudice che ha preso tale decisione direi cosa avrebbe fatto se fosse successo a sua figlia?".
Lasciando da parte il discutibile gesto di rivolgersi a Studio Aperto come se fosse davvero
un telegiornale, la povera ragazza non immagina che se quello fosse successo alla figlia del giudice lui non avrebbe potuto fare niente perché in "conflitto d'interessi".
Inoltre la ragazza deve capire che la Legge non si può manovrare a piacimento, proprio come
la comunità ebraica non può decidere se scarcerare o no l'ex SS nazista Priebke (che, non avendo santi in paradiso o intellettualoidi al seguito ha subito delle ingiustizie denunciate da pochissimi) o come la sinistra extraparlamentare non può decidere se Battisti deve essere processato o no (posto che rientri in Italia).

Certo tutti si augurano che il processo possa condurre ad una pena "esemplare" ma questo probabilmente non avverrà, non per la cattiveria o la superficialità dei giudici, ma perché l'esemplarità della pena è un concetto che varia da cittadino a cittadino e la Legge ne prescrive uno che non sempre accontenta tutti. Ciò che si può discutere è l'interpretazione della legge, o se vengano concesse attenuanti ed aggravante giustamente, ma il tutto si può fare solo entrando nel merito della vicenda.

A questo punto vengono spontanee alcune riflessioni sulla sicurezza. Come si realizza
la sicurezza senza tanta demagogia? Prima di tutto sul versante della Polizia. Gli stessi che hanno tolto i fondi alla Polizia, che non ha benzina per le volanti e soldi per attaccarsi i bottoni della divisa, ora reclamano Giustizia? La politica di sicurezza, cioè che previene i reati, si attua a breve termine con i pattugliamenti (a lungo termine con l'istruzione e la bonifica sociale, ma è un altro discorso) delle forze dell'ordine, che possono disporre se necessario delle armi che il diritto e la divisa danno loro. L'altro lato, c'è il lato giudiziario. La certezza della pena garantisce, checché ne dica qualcuno, un ottimo deterrente per la commissione di atti criminali. Se passa l'idea che è tutto lecito allora si può fare tutto. Altrimenti non si spiegherebbe come mai il capo della Polizia rumena ha vituperato le Istituzioni italiane dicendo: i criminali rumeni vengono da voi perché da voi è più facile delinquere.

La certezza della pena non si realizza con le parole di Alemanno ma con una politica di riforma della prescrizione, di snellimento burocratico (basta una notifica sbagliata per mandare a monte un processo!), bandendo i condoni, gli indulti, eliminando la legge Gozzini, approntando una politica di edilizia carceraria, facendo passare alcuni reati minori da penali ad amministrativi, controllando il numero e l'efficienza del personale giudiziario, eliminando alcune attenuati, garantendo l'indipendenza delle Forze dell'Ordine e della Magistratura.
Finora il governo si è mosso in direzione completamente opposta, come un pazzo che va contromano in autostrada e urla agli automobilisti che gli stanno venendo addosso. Non che i governi precedenti abbiano fatto di meglio in questo tema, ma l'idea di ricattare il Parlamento per bloccare i processi di pochi altrimenti "poi "passa la blocca processi" o la legge sulle intercettazioni, rammenta l'idea di fare un buco in solaio dove possa passare una pentegana, e poi lamentarsi che dietro seguano tutti i topolini.

Ma la demagogia, il far riferimento al pensiero bestiale del cittadino, completamente incapace di riflettere e di utilizzare un solo peso e una sola misura è molto più efficace di tutti i discorsi pacati e logici che si possano fare. Un conto è la severità delle norme, un conto è il rispetto per le Istituzioni e il principio di Legalità. Fare confusione è molto grave.
Più grave di uno stupro. Perchè è uno stupro a tutti i cittadini.

lunedì 19 gennaio 2009

Chi di spada interferisce...

Il sedicente ministro della salute Sacconi, ex socialista neo-guelfo, è stato finalmente denunciato alla Procura di Roma per violenza privata nei confronti della clinica “Città di Udine”. In breve, il membro di questo improbabile governo, il 16 dicembre 2008, promosse un atto d’indirizzo ministeriale con cui minacciò di “conseguenze immaginabili” formalmente tutte le strutture sanitarie nazionali, ma sostanzialmente quella del capoluogo friulano che si apprestava ad accogliere Eluana Englaro, guarda caso, proprio il 16 dicembre, qualora avessero decretato e attuato la sospensione delle cure ai loro pazienti.

Minacciare di sanzione amministrativa una struttura sanitaria che si prende la briga di attuare un principio di diritto sancito da una decisione giudiziale definitiva (il decreto della Corte d’Appello di Milano del 9 luglio 2008) che ha resistito alla più sterminata serie di ricorsi e di contestazioni (appello, ricorso per Cassazione, conflitto di attribuzioni alla Corte Costituzionale, ricorso alla Corte europea per i diritti dell’uomo), porta alla mente “Mezzogiorno e mezzo di fuoco”, ed esattamente il procuratore di stato Hedley Lamarr che recluta gli sgherri da adoperare contro gli abitanti della contea di Rock Ridge in base alle condanne penali su di loro pendenti. Secondo il nostro ottimo ministro della malattia, occorre infrangere il diritto per andare d’accordo con lui. Se una sentenza viene rispettata, saranno guai seri per chiunque.

Dovevano muoversi i Radicali, guidati da un combattivo Marco Cappato, per mettere il Sacconi di fronte alla legge e costringerlo a rispondere di quell’aberrante documento ministeriale che, lo si ripete per chi non lo sa, di fronte a una sentenza definitiva non può far altro che impallidire e darsi alle fiamme.

Ovviamente spetterà alla Procura stabilire se Sacconi ha effettivamente usato violenza nei confronti della struttura sanitaria friulana, ma ciò che conta è che si dica chiaro e tondo chi è che contravviene alle regole. La clinica di Udine no, perché accogliendo Eluana e lasciandola morire rispetterebbe la Costituzione (art. 32) e una sentenza del massimo organo di giustizia nazionale. Il ministro Sacconi sì, perché al di là delle sue eventuali responsabilità penali si è dimostrato un vero e proprio istigatore del non rispetto delle norme. Forse sarà il caso di staccare la spina che collega ormai irreparabilmente il suo cervello con piazza San Pietro.

Er mejo, però, si dimostra l’ex magistrato Alfredo Mantovano. Subito dopo aver saputo della decisione della clinica di non accogliere Eluana, il saggio giureconsulto ha dichiarato: “Dal punto di vista giuridico la decisione della clinica dimostra che il decreto della Corte d’appello di Milano, confermato dalla Cassazione, non è eseguibile senza trasformarsi in una diretta lesione del diritto alla vita, e quindi in un omicidio”. In realtà, la clinica friulana ha semplicemente addotto queste motivazioni: “La Casa di cura Città di Udine comunica di trovarsi costretta a ritirare la propria disponibilità ad ospitare la signora Eluana e l’equipe di volontari esterni”. Trovarsi costretta a ritirare…Vuol dire, se Mantovano capisce l’italiano oltre che il vaticano, che una disponibilità era stata in un primo momento data, tanto che l’ambulanza con a bordo Eluana era partita da Lecco per Udine il 16 dicembre, poi è venuta meno. L’ipotesi di uccidere Eluana avrebbe ragionevolmente spinto la clinica a non offrire da principio la propria disponibilità, o no?

Ma il dott. Mantovano è un vero e proprio scienziato del diritto. In barba a uno dei capisaldi della procedura civile – roba che se non lo conosci, all’esame universitario ti cacciano a pedate nel culo – questo genio del codice è riuscito a commentare così la decisione della Corte europea per i diritti dell’uomo che aveva cestinato come “irricevibile” il ricorso di diverse associazioni cattoliche e di devoti cittadini italiani che volevano “salvare” Eluana, perché prive di un interesse ad agire in giudizio: “(Il fatto che nessuna di queste associazioni avesse interesse ad agire) è solo un cavillo”. Il cavillo, per il Magnifico procedurista, sarebbe l’art. 100 c.p.c.: “Per proporre una domanda…è necessario avervi interesse”. Questo principio vale presso qualsiasi Corte di giustizia del mondo, a ogni latitudine e longitudine democratiche. Per un ex magistrato italiano no.

Domanda: a cosa serve riformare la giustizia italiana, se di fatto un golpe in grado di annientare le fondamenta dello stato di diritto è già in corso? A cosa servirebbe porre le Procure sotto lo stretto controllo dell’esecutivo, se una sentenza definitiva della Cassazione potrebbe essere vanificata da un semplice, banalissimo atto d’indirizzo di un ministro qualunque?

L’unica speranza che abbiamo è che gli organi di giustizia, a partire dal TAR Lombardia che sarà presto chiamato a emettere un giudizio di ottemperanza sulla richiesta dei legali di Eluana di dare esecuzione al decreto della Corte d’Appello di Milano, continuino a mirare semplicemente al rispetto della Costituzione vigente e a considerarla come loro unico punto di riferimento, anche ricorrendo all’esecuzione forzata delle sentenze.

Non c’è alternativa, perché siamo arrivati a un punto di non ritorno: o si resiste sul Piave, o si rischia una Caporetto devastante. E se ci sarà bisogno di una guerra a chi trova più cavilli per affermare la propria posizione, che guerra sia! A fronteggiarsi ci saranno da una parte il diritto, dall’altra lo spregio della legge. E noi vogliamo che il diritto prevalga, perché esiste apposta per prevalere sui soprusi e per differenziare i rapporti civili dalla morale personale, sacconiana, binettiana, vaticana, islamica o ebraica che sia. Esiste, insomma, a prescindere da Giuliano Ferrara.