lunedì 19 gennaio 2009

Chi di spada interferisce...

Il sedicente ministro della salute Sacconi, ex socialista neo-guelfo, è stato finalmente denunciato alla Procura di Roma per violenza privata nei confronti della clinica “Città di Udine”. In breve, il membro di questo improbabile governo, il 16 dicembre 2008, promosse un atto d’indirizzo ministeriale con cui minacciò di “conseguenze immaginabili” formalmente tutte le strutture sanitarie nazionali, ma sostanzialmente quella del capoluogo friulano che si apprestava ad accogliere Eluana Englaro, guarda caso, proprio il 16 dicembre, qualora avessero decretato e attuato la sospensione delle cure ai loro pazienti.

Minacciare di sanzione amministrativa una struttura sanitaria che si prende la briga di attuare un principio di diritto sancito da una decisione giudiziale definitiva (il decreto della Corte d’Appello di Milano del 9 luglio 2008) che ha resistito alla più sterminata serie di ricorsi e di contestazioni (appello, ricorso per Cassazione, conflitto di attribuzioni alla Corte Costituzionale, ricorso alla Corte europea per i diritti dell’uomo), porta alla mente “Mezzogiorno e mezzo di fuoco”, ed esattamente il procuratore di stato Hedley Lamarr che recluta gli sgherri da adoperare contro gli abitanti della contea di Rock Ridge in base alle condanne penali su di loro pendenti. Secondo il nostro ottimo ministro della malattia, occorre infrangere il diritto per andare d’accordo con lui. Se una sentenza viene rispettata, saranno guai seri per chiunque.

Dovevano muoversi i Radicali, guidati da un combattivo Marco Cappato, per mettere il Sacconi di fronte alla legge e costringerlo a rispondere di quell’aberrante documento ministeriale che, lo si ripete per chi non lo sa, di fronte a una sentenza definitiva non può far altro che impallidire e darsi alle fiamme.

Ovviamente spetterà alla Procura stabilire se Sacconi ha effettivamente usato violenza nei confronti della struttura sanitaria friulana, ma ciò che conta è che si dica chiaro e tondo chi è che contravviene alle regole. La clinica di Udine no, perché accogliendo Eluana e lasciandola morire rispetterebbe la Costituzione (art. 32) e una sentenza del massimo organo di giustizia nazionale. Il ministro Sacconi sì, perché al di là delle sue eventuali responsabilità penali si è dimostrato un vero e proprio istigatore del non rispetto delle norme. Forse sarà il caso di staccare la spina che collega ormai irreparabilmente il suo cervello con piazza San Pietro.

Er mejo, però, si dimostra l’ex magistrato Alfredo Mantovano. Subito dopo aver saputo della decisione della clinica di non accogliere Eluana, il saggio giureconsulto ha dichiarato: “Dal punto di vista giuridico la decisione della clinica dimostra che il decreto della Corte d’appello di Milano, confermato dalla Cassazione, non è eseguibile senza trasformarsi in una diretta lesione del diritto alla vita, e quindi in un omicidio”. In realtà, la clinica friulana ha semplicemente addotto queste motivazioni: “La Casa di cura Città di Udine comunica di trovarsi costretta a ritirare la propria disponibilità ad ospitare la signora Eluana e l’equipe di volontari esterni”. Trovarsi costretta a ritirare…Vuol dire, se Mantovano capisce l’italiano oltre che il vaticano, che una disponibilità era stata in un primo momento data, tanto che l’ambulanza con a bordo Eluana era partita da Lecco per Udine il 16 dicembre, poi è venuta meno. L’ipotesi di uccidere Eluana avrebbe ragionevolmente spinto la clinica a non offrire da principio la propria disponibilità, o no?

Ma il dott. Mantovano è un vero e proprio scienziato del diritto. In barba a uno dei capisaldi della procedura civile – roba che se non lo conosci, all’esame universitario ti cacciano a pedate nel culo – questo genio del codice è riuscito a commentare così la decisione della Corte europea per i diritti dell’uomo che aveva cestinato come “irricevibile” il ricorso di diverse associazioni cattoliche e di devoti cittadini italiani che volevano “salvare” Eluana, perché prive di un interesse ad agire in giudizio: “(Il fatto che nessuna di queste associazioni avesse interesse ad agire) è solo un cavillo”. Il cavillo, per il Magnifico procedurista, sarebbe l’art. 100 c.p.c.: “Per proporre una domanda…è necessario avervi interesse”. Questo principio vale presso qualsiasi Corte di giustizia del mondo, a ogni latitudine e longitudine democratiche. Per un ex magistrato italiano no.

Domanda: a cosa serve riformare la giustizia italiana, se di fatto un golpe in grado di annientare le fondamenta dello stato di diritto è già in corso? A cosa servirebbe porre le Procure sotto lo stretto controllo dell’esecutivo, se una sentenza definitiva della Cassazione potrebbe essere vanificata da un semplice, banalissimo atto d’indirizzo di un ministro qualunque?

L’unica speranza che abbiamo è che gli organi di giustizia, a partire dal TAR Lombardia che sarà presto chiamato a emettere un giudizio di ottemperanza sulla richiesta dei legali di Eluana di dare esecuzione al decreto della Corte d’Appello di Milano, continuino a mirare semplicemente al rispetto della Costituzione vigente e a considerarla come loro unico punto di riferimento, anche ricorrendo all’esecuzione forzata delle sentenze.

Non c’è alternativa, perché siamo arrivati a un punto di non ritorno: o si resiste sul Piave, o si rischia una Caporetto devastante. E se ci sarà bisogno di una guerra a chi trova più cavilli per affermare la propria posizione, che guerra sia! A fronteggiarsi ci saranno da una parte il diritto, dall’altra lo spregio della legge. E noi vogliamo che il diritto prevalga, perché esiste apposta per prevalere sui soprusi e per differenziare i rapporti civili dalla morale personale, sacconiana, binettiana, vaticana, islamica o ebraica che sia. Esiste, insomma, a prescindere da Giuliano Ferrara.

Nessun commento:

Posta un commento